Articolo su La Gazzetta del mezzogiorno del 4.V.2000, LE 2

 

Un museo per Schipa nelle antiche sale del castello di Carlo V

 

di Beppe D’ERCOLE

 

 

«Un paio di settimane fa si è svolta nella nostra città u­na delle più affollate confe­renze alle quali abbia mai partecipato. L’argomento della serata era Tito Schipa. Era organizzata dal Museo provinciale e da «Vivere Lec­ce». Nei giorni precedenti e­ro molto tranquillo: conosce­vo bene le meticolose capa­cità di ricerca ed espositive dell’oratore, l’ingegner Gianni Carluccio; quelle del direttore del Museo, Anto­nio Cassiano, sono arcinote e quindi, contando su un gran numero di persone in­teressate, avevo stampato u­na quantità più che suffi­ciente di copie di un articolo sull’argomento dello stesso Gianni Carluccio. Conside­rando che nella nostra città una conferenza è di successo se raggiunge le 40/50 perso­ne, mi ero azzardato a stam­parne ben cento.

Vi         lascio immaginare la piacevole meraviglia nel constatare circa 300 presen­ze. E rimaste quasi tutte fino alla fine dopo due ore e mez­za di appassionata esposizio­ne. Dico e scrivo da anni che la nostra città non è mai sta­ta capace di produrre molto in campo culturale, inten­dendo «produrre» nel senso di «sfruttare» in senso positi­vo. I1 mio convincimento si è vieppiù consolidato, dopo a­ver riflettuto sul successo di quella serata, ritenendo Tito Schipa una risorsa culturale per Lecce, accanto al baroc­co, all’archeologia e a tutto il resto. Scrivevo un paio di mesi fa: «Viviamo sul petro­lio e non lo sappiamo», rife­rendomi alle innumerevoli risorse culturali che potreb­bero contribuire a rilanciare anche economicamente la nostra città e che non sono assolutamente sfruttate, e in quelle note scrivevo anche dell’autoriconosciuta inca­pacità dei leccesi di avere i­dee e di attuarle: per la «de­stinazione» del nostro castel­lo l’Amministrazione è co­stretta a rivolgersi, spero gratis, ad un personaggio più noto per le varie mirabo­lanti attività, che per quelle prettamente culturali, per avere il «verbo» su come uti­lizzarlo. Dopo due anni non si è ancora avuto il responso. Nell’articolo mi permettevo di riflettere sul fatto che basterebbero delle visite guida­te a quella struttura, anche vuota, dai sotterranei agli spalti, per realizzare un’at­trattiva turistica (anche vuo­to, sì: perché forse non si va in centinaia di migliaia a vi­sitare l’acquedotto greco e romano nelle viscere di Na­poli? E non è di per sé, la semplice roccia scavata a quaranta metri di profon­dità, opera mirabile?). E su questo riflettevo dopo la con­ferenza. Se trecento persone sono rimaste due ore e mez­za ad una semplice conferen­za, quante persone visiterebbero un museo «Tito Schi­pa»? E basterebbero due o tre sale dell’enorme manie­ro, che potrebbero iniziare così a racchiudere collezioni ed altro. E il materiale per Tito Schipa già c’è e Gianni Carluccio, con la sua notevo­le generosità, sarebbe certa­mente pronto a buttarsi nel­l’impresa come, forse, il fi­glio di Tito Schipa, se rice­vesse un po’ della considera­zione e del rispetto che meri­ta solo per quanto suo padre diede a Lecce. Ma vi immagi­nate: al di là del semplice ma­teriale, una sala per l’ascolto della sua voce e un altra per i video? «Nemo propheta in patria», mi direte, e le invi­die, le ripicche, i bastoni tra le ruote si frapporrebbero nel tragico cupio dissolvi che fa parte dell’animo leccese e che ci impedisce di decolla­re. Immaginatevi tutte quel­le iniziative in una città chiusa al traffico, capace di proporsi, proprio in virtù di quel riappropriamento fisi­co della città da parte del tu­rista, al resto della nazione e anche fuori: “Passate un fine settimana lontani dal traffi­co e dal rumore, per ammi­rare questo e quello, passeg­giando su vecchie strade di basolato perfettamente tenu­te, pulite e sorvegliate da vi­gili urbani, poliziotti e cara­binieri al servizio del cittadi­no, visitando questo e quel castello o palazzo, in alber­ghi a costi speciali, girando per negozi e ristoranti sem­pre aperti e con tutta la città pronta ad accogliervi senza farvi bidoni”.

E pensare che sarebbe pos­sibile farlo!».